Smarrita la diagnosi di cancro: “Mi hanno condannato a morte”

Smarrita la diagnosi di cancro: “Mi hanno condannato a morte”

Antonio Boran, 58 anni, non ha ricevuto l’esito dell’esame. Ora chiede 1,5 milioni di risarcimento di Elena Livieri

SANT’ANGELO DI PIOVE. «La mia malattia galoppa e chi dovrebbe almeno chiedere scusa continua con un vergognoso scaricabarile e cerca solo pretesti per allungare tempi. Ma il tempo è l’unica cosa che io non ho»: Antonio Boran 58 anni, di Sant’Angelo di Piove, da anni fa i conti con un tumore. Male che avrebbe potuto combattere sul nascere, con esiti positivi, se solo gli fosse stato comunicato l’esito dell’esame a cui si era sottoposto nel 2011 aderendo allo screening che l’Usl promuove proprio per fare prevenzione. Quell’esito, però, ad Antonio Boran non è mai arrivato. Perso nei meandri del cervellone informatico della sanità di cui è titolare la Regione Veneto.

La sua storia, raccontata dal mattino lo scorso luglio, è finita l’altra sera anche in tv, alla trasmissione “Mi manda Rai Tre”. «Forse Usl e Regione, che finora non hanno nemmeno mai ritenuto di chiedere scusa» fa notare Boran, «non si rendono conto che un errore del computer per me ha significato una condanna a morte». L’ex agente di commercio – il lavoro lo ha dovuto lasciare proprio a causa della malattia – parla sulla scorta di due perizie medico legali, una ordinata dal suo legale – l’avvocato Silvia Sorrentino – al dottor Roberto Garufi e una ordinata dal Tribunale al dottor Luca Pieraccini le quali attestano che il suo destino sarebbe stato diverso se l’esito di quell’esame per rilevare l’eventuale presenza di sangue nelle feci – indicatore di un possibile tumore al colon – gli fosse stato comunicato.

Boran ha trovato sostegno del Tribunale del malato di Dolo, nel Veneziano, e assistito dall’avvocato Sorrentino ha fatto causa all’Usl 16, chiedendo un risarcimento di un milione e mezzo di euro. «Non lo faccio per me» sottolinea, «penso alla mia famiglia. Il danno che hanno fatto a me non può essere quantificato». L’esito della prima udienza è stato un pungo dritto in faccia per il 58enne: «Usl e Regione hanno chiesto una perizia sul software a cui si imputa l’errore per cui non è stato comunicato l’esito dell’esame» racconta Boran, «mi chiedo qualsiasi sia l’esito di questa perizia cosa possa cambiare. E per chi. Io penso sia solo un modo meschino per tirare avanti. Per questo ho voluto denunciare il mio caso anche in tivù: è vergognoso che le istituzioni non si assumano le loro responsabilità di fronte a un cittadino».

Non è facile la vita di Antonio Boran: ha già subito sei interventi, al fegato, ai polmoni e al colon. Intervallati da cicli continui e massacranti di chemioterapia. La prossima settimana l’ennesimo appuntamento con la sala operatoria, per un una nuova operazione al fegato.

Mentre ci parla Boran è in viaggio di ritorno da Roma: «Oggi mi ricoverano per dei controlli al cuore» dice, «la settimana prossima torno sotto i ferri. Qualche secondo di silenzio. «Io sono felice» riprende, «prima di andare in ospedale andrò a salutare il mio nipotino nato dieci giorni fa».

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